L’elettronica e i suoi geniali e visionari pionieri - Intervista al leggendario Bruno Murari

Articolo

L’elettronica è una componente essenziale della nostra vita e molta di questa tecnologia è da sempre Made in Italy

Articolo di mercoledì 12 agosto 2023
Protagonisti
Bruno Murari
Autrice
Laura Bajardelli
vedi altri articoli di Laura Bajardelli

Il rapporto 2023 sul mercato assicurativo dei Lloyd’s di Londra, stima in circa 600 miliardi di dollari il valore di mercato dell’industria dei semiconduttori e in 2,2 trilioni di dollari il settore dell’elettronica, che a sua volta traina i quasi 90 trilioni di dollari del PIL globale. I semiconduttori sono indispensabili per l’industria elettronica che a sua volta è indispensabile per la vita di oggi: smartphone, dispositivi indossabili, computer e TV, ascensori, auto e treni, strumenti spaziali, dispositivi medici, pannelli fotovoltaici, industria alimentare e l’elenco potrebbe andare avanti all’infinito, diventa infatti sempre più difficile pensare dove i semiconduttori e i chip non ci sono, e con il passare del tempo saranno sempre meno le applicazioni o gli oggetti che ne potranno fare a meno, non a caso si dice che “il silicio è pervasivo”.

E i campioni di questa industria non vanno cercati solo oltre oceano: da più di 50 anni l’Italia e l’Europa sono leader in questo settore grazie a figure leggendarie, come Federico Faggin e Bruno Murari. Federico Faggin è considerato il papà dei microprocessori e di recente ha scritto dei best seller divulgativi, toccando anche tematiche spirituali dal punto di vista di uno scienziato. Faggin è stato tra i fondatori della Silicon Valley in California, ma i suoi primi passi li ha mossi accanto a Bruno Murari e Aldo Romano, tutti nati intorno agli anni Trenta e primi Quaranta, e accomunati dall’esperienza in STMicroelectronics da giovanissimi, quando la società si chiamava SGS e poteva ancora considerarsi la start up voluta da Adriano Olivetti insieme a Virgilio Floriani e alla sua Telettra. Un’altra figura leggendaria è quella di Pasquale Pistorio, che è arrivato dopo il terzetto Faggin-Murari-Romano ma è colui che ha valorizzato una realtà industriale di notevole valore, ma ancora su scala Europea e l’ha lanciata nel mercato internazionale con i risultati visibili ancora oggi.

Italia e Francia e questi pionieri hanno dato vita alla Silicon Valley europea, mutuando la nota espressione che identifica il distretto della California culla del silicio (in inglese silicon, un semiconduttore, che di fatto è sabbia, che viene fusa e trasformata in sottili lastre sulle quali vengono scavati i microcircuiti, che possono anche essere costruiti in altezza) materia prima fondamentale per informatica ed elettronica.

Bruno Murari ha iniziato a interessarsi di elettronica negli anni Cinquanta, scegliendo un percorso di studi tecnico-sperimentale: prima perito tecnico e poi la specializzazione post diploma in elettrotecnica. E dopo centinaia di brevetti e miliardi di microchip venduti sono arrivati anche i prestigiosi riconoscimenti delle Lauree ad Honorem e, unico italiano, nel 2017, gli è stato conferito il prestigioso Elmer A. Sperry Award per i contributi ingegneristici di provata efficacia per fare avanzare il campo dei trasporti (via terra, mare, aria o spazio), nel mondo dell’elettronica vale quanto il Premio Nobel. In praticamente tutti i prodotti elettronici possiamo trovare le idee e la mano di Bruno Murari.

Parleremo di tutto questo con Bruno Murari.

Il suo nome è associato indelebilmente all’elettronica e il termine più ricorrente è inventore. Ci racconti come è nata questa passione che poi è diventata la sua professione.

io ho trascorso infanzia e adolescenza a Venezia, sulla piccola isola di San Giorgio: lì c’erano soltanto un meraviglioso campanile – qualche metro più basso di quello della vicina Basilica di San Marco – accanto alla prestigiosa chiesa di Andrea Palladio- un deposito di armi e munizioni della Direzione Artiglieria da montagna, e tanti ragazzini con una fervida immaginazione e mani operose: tutto ciò che volevamo dovevamo costruircelo da soli. Eravamo dei selvaggi, non avevamo limiti al nostro desiderio di avventura ed esplorazione, e una barca era indispensabile. Così l’abbiamo costruita con materiale di recupero, una barca vera e propria, a pontone. Ricordo ancora il naufragio causato dall’aver confuso il grasso con la pece, ma eravamo nuotatori provetti e quindi abbiamo potuto ripetere l’esperimento con i materiali giusti. Prima le barche poi gli aeromodelli, grazie a un fortunato incontro durante le vacanze. Da quel primo fascio di ali, fusoliere e altre parti in legno di balsa, alcune anche rotte, non ho mai smesso di costruire e far volare aeromodelli, oggi uso materiali e attrezzature più sofisticate come una macchina additiva ad estrusione di plastica e una seconda a filo caldo a 4 assi per tagliare l’ala. È stata una scuola importante perché a 10 anni fare un sistema completo come la barca o un aereo mi ha aperto la mente perché richiedono competenze multidisciplinari come idraulica aerodinamica ed energia. Anche se poi per lavoro mi sono focalizzato sui microcircuiti e non sul prodotto finito. Una mia battuta è diventata celebre nel mondo dell’elettronica “Quello che so è che se c’è un team e una società al mondo che può riuscire a fare questa cosa, siamo noi” e ha le radici sull’Isola di San Giorgio.


dopo le prime esperienza lavorative, nel 1961 il suo ingresso in SGS a Milano, per la precisione ad Agrate Brianza e a Castelletto di Cornaredo, una società all’epoca di recente costituzione e in un settore che avrebbe potuto rivelarsi una meteora. A distanza di tanti anni, lei e STMicroelectronics siete legati indissolubilmente

Come per gli aeromodelli, anche la scelta di candidarmi per entrare in SGS – l’odierna STMicroelectronics – è legata a un fortunato incontro con un compagno del corso serale di specializzazione in elettronica che mi ha fatto capire la potenzialità di lavorare su attività così avanzate e in un’azienda visionaria, che aveva come core business la produzione di semiconduttori in Italia. E per farlo stava investendo in giovani talenti, tecnici e ingegneri, italiani e stranieri, fianco a fianco, dove si poteva crescere rapidamente professionalmente e umanamente, c’erano ricerca, sperimentazione e anche divertimento. I primi diodi e transistor che avrebbero sostituito le valvole a vuoto erano nati in quegli anni in America, in quella che poi è diventata nota come Silicon Valley. Il mercato interno ha poi caratterizzato lo sviluppo e la separazione delle competenze: in America la parte digitale, in Italia e in Europa la parte analogica e di potenza per radio e tv, poi per le automobili. Inizialmente come SGS producevamo i prodotti progettati in America dalla Fairchild, che era socia di SGS, ma poco dopo abbiamo iniziato a progettare in autonomia in Italia. Allora come oggi, è importante la vision dell’azienda, che si concretizza nell’investire ingenti risorse in ricerca e sviluppo e in persone e talenti in grado di innovare. Solo così si riesce a stare sulla frontiera dell’innovazione, senza sedersi sugli allori. Un sano spirito competitivo per essere migliori della concorrenza, soddisfacendo i bisogni dei clienti, che diventano nel tempo veri e propri partner.

Abbiamo accennato alle lauree ad honorem, in particolare l’Università Cà Foscari ha motivato il prestigioso riconoscimento per il contributo, la guida e il sostegno all’innovazione e lo sviluppo di tecnologie multidisciplinari, ossia i circuiti BCD, acronimo di Bipolar-CMOS-DMOS. E questa invenzione che risale al 1984 ed è giunta ormai alla decima generazione, tanto da essere stata formalmente riconosciuta come una vera e propria pietra miliare dell’innovazione dall’Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE) – ossia la più grande comunità scientifica del mondo-che nel 2021 ha conferito a STMicroelectronics il riconoscimento. Può spiegare per non addetti ai lavori perché sono così importanti non solo per STMicroelectronics ma per tutti noi?

Nei primi anni ’80 io e il mio team - ricordiamoci sempre che la squadra vince - abbiamo ulteriormente perfezionato il processo produttivo tanto da riuscire a mettere in un unico chip tutte le funzioni dei migliori un sistema elettronico. Tecnicamente, il BCD integra la tecnologia bipolare per i circuiti analogici, la tecnologia CMOS per la logica di controllo e digitale e robusti componenti di potenza DMOS ad alta tensione. Allora pensavamo di essere tra i primi a farlo, in realtà siamo stati i primi in assoluto e la portata di questa innovazione è tale che abbiamo venduto oltre 40 miliardi di chip in tutto il mondo fino ad oggi. Questo perché il BCD ha messo insieme le migliori caratteristiche di ciascuna di queste tre tecnologie di processo per semiconduttori e ha messo in comunicazione il mondo digitale e quello analogico; inoltre, questa aggregazione ha consentito di ottenere dispositivi molto più piccoli, più efficienti dal punto di vista energetico e anche termico, e anche più economici. Tutto questo li ha resi utilizzabili in un maggior numero e tipologie di apparecchiature elettriche ed elettroniche, che a loro volta possono ridurre dimensioni e costi senza intaccare le prestazioni, che anzi erano migliori. Un esempio: nell’automotive, grazie al BCD è stato introdotto il controllo elettronico dei motori, meccatronica, e sostituito i sistemi di accensione a controllo meccanico con moduli elettronici. Si è così aperta la strada ad applicazioni completamente nuove in diverse aree e anche in nuovi mercati. Oggi, sostanzialmente, dove c’è un chip c’è un BCD, anche perché nel frattempo la concorrenza ci ha seguiti, ci ha imitati e quindi il BCD si è ulteriormente diffuso. D’altronde, la competizione fa crescere le nostre competenze, non è un danno, ma va fronteggiata con impegno, questa è la gara, la sfida. È in fondo il sale della vita. E così dopo il BCD è stata la volta dei MEMS - Micro Electro-Mechanical Systems, ossia sistemi micro-elettro-meccanici, dei gioiellini, una delle loro più note applicazioni è tra le mani di tutti; grazie ai MEMS possiamo ruotare lo schermo del telefono. E anche dei MEMS potremmo parlare per ore.

Prima ha detto che “la squadra vince”, ma come si può coniugare lo spirito di squadra quando si ha a che fare con un gran numero di talenti e anche con dei protagonisti veri e propri?

Io sono fermamente convinto che la squadra e il talento siano fondamentali per eccellere in ambiti complessi come l’elettronica e la ricerca. L’ho vissuto quando sono entrato in azienda nel 1961, dal confronto continuo con i colleghi ho imparato moltissimo, è stata una vera e propria scuola, e ho imparato anche l’importanza del rispetto e del riconoscimento dei meriti e delle idee altrui; chi ha una buona idea e vede che gli viene riconosciuto il merito, si sentirà spinto a continuare a condividere. È estremamente importante avere una comunità di talenti per fare squadra. E tra questi talenti ci sarà qualcuno che vuole primeggiare lavorando solo per se stesso, stando per proprio conto senza condividere; ma ci sarà magari qualcun altro che invece accetta di lavorare per la squadra. Le cosiddette primedonne servono, ma solo se sono gestibili, altrimenti devono andare altrove dove possono essere i numeri uno e farsi la propria squadra. La squadra vince. La mia capacità è stata più che avere delle idee, quella di creare il clima di confronto e stimolo, dove le idee nascano, che si riconoscano i meriti di chi le ha avuto e che continuino a generarsi.

In questi ultimi anni in Italia ed Europa finalmente tutti hanno capito l’importanza dell’elettronica e dei microchip nella vita di tutti i giorni, e anche della loro strategicità per il Paese e per l’Europa. Cosa può fare ancora l’elettronica per la comunità, intesa sia a livello locale che di Paese e oltre?

Ho le idee piuttosto chiare, ci ho pensato molte volte: la soluzione è Hi Tech Land, che immagino come un territorio dove le migliori aziende tecnologicamente avanzate con competenze diverse ma complementari (come STMicroelectronics e Leonardo per esempio), le università, i centri di ricerca e gli istituti tecnici collaborano, senza personalismi e competizione, replicando la scintilla e lo sviluppo della Silicon Valley californiana negli anni ’60, e che potrebbe avere sede inizialmente in Lombardia o in pianura padana per poi essere estesa e replicata in tutta Italia ed Europa nella forma di consorzio. Si farebbe ricerca su materiali e tecniche nuovi, sperimentando teorie e modelli che oggi potrebbero essere sorprendenti. I fattori abilitanti necessari sono investimenti di decine di miliardi di dollari, la collaborazione reale tra tutti i soggetti in campo, le migliori attrezzature e i migliori talenti ingaggiati dalle aziende e dalle università. e soprattutto una pianificazione a lungo termine, tra 5 e 30 anni. Quando si parla di innovazione vale la legge del “3x3”: ci vogliono 3 mesi per una nuova applicazione, 3 anni per un nuovo circuito integrato, 3 lustri per una nuova tecnologia. In ogni caso, non ritengo sia un’utopia dato che la prima pietra virtuale è già stata posata nella sede del Politecnico di Milano dove verrà installata la linea pilota a 8 pollici che STMicroelectronics ha concesso in comodato. Bisogna partire da questo fulcro per estendere l’alleanza. Penso sia questione di convinzione e visione, e anche di necessità. Durante la Seconda Guerra Mondiale i singoli Paesi capirono la necessità di collaborare per il bene comune, e il progresso tecnico che ne derivò è diventato patrimonio di tutti. Adesso c’è la stessa necessità di collaborare, come amo dire: la squadra vince. Laura: Bruno, lei è entrato in SGS un anno dopo la prematura scomparsa di Adriano Olivetti ma evidentemente il suo modo di pensare è sopravvissuto: Hi Tech Land sembra fondarsi su un principio cardine del pensiero e dell’azione di Adriano: la comunità e la federazione di comunità per costruire qualcosa di più grande e valido. E vorrei ricordare anche la famosa citazione sull’utopia “il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande”. La ringrazio per la disponibilità, per la simpatia e il senso di fiducia nel futuro che trasmette con il suo entusiasmo. La sua celebra battuta dovrebbe diventare un motto e uno sprone per l’intero Paese, ci vorrebbe un po' più di conoscenza della nostra storia, delle occasioni perdute – come la Olivetti, che però continua a germinare dalle sue ramificazioni- e di quelle realizzate – come STMicroelectronics - e far leva su queste con continuità e convinzione.

Ricordo che Bruno Murari come Faggin, Romano e Pistorio e gli altri nati tra il 1926 e il 1945, appartengono alla Generazione della ricostruzione, e dobbiamo essere loro grati perché con il loro lavoro e la loro lungimiranza e tenacia hanno contributo al progresso tecnologico del Paese e anche al correlato benessere e progresso sociale e culturale e all’attrattività del territorio brianzolo e milanese, così come Camillo e Adriano Olivetti erano stati i principi del canavese e alle rosse torri di Ivrea hanno aggiunto mirabili opere di architettura e di pensiero, tutt’ora visibili.

Per chi volesse approfondire, suggerisco il libro “Silicon Europe – La grande avventura della microelettronica e di un’azienda italofrancese che fa girare il mondo”, Rizzoli editore.

Breve Biografia di Bruno Murari

Bruno Murari, classe 1936, cresciuto a Venezia e milanese d’adozione, dipendente dal 1961 della neonata SGS, diventata poi SGS-THOMSON e oggi STMicroelectronics, dal 1972 Direttore dei Laboratori di Ricerca e Sviluppo di una divisione di prodotto DPG (Dedicated Product Group) presso la sede di Cornaredo, vicino Milano e poi via via acquisisce responsabilità crescenti con team internazionali dislocati in 3 continenti, tutti focalizzati sullo sviluppo di tecnologie e circuiti integrati. Ha progettato personalmente 10 circuiti integrati e ha diretto lo sviluppo di oltre 2000; ha ottenuto oltre 200 brevetti e a coronamento della sua genialità gli è stata conferita la laurea ad honorem sia dall’Università Ca’ Foscari di Venezia sia dal Politecnico di Milano (rispettivamente per lo sviluppo delle tecnologie circuitali miste di potenza e quella di ingegneria elettronica per i suoi contributi fondamentali nel campo della microelettronica che hanno consentito l'affermazione a livello internazionale dell'industria italiana dell'high tech) oltre al prestigioso Elmer A. Sperry Award per i contributi ingegneristici di provata efficacia per fare avanzare il campo dei trasporti (via terra, mare, aria o spazio). Oggi è consulente scientifico presso STMicroelectronics e in società e centri di ricerca in Italia Svizzera e Francia. Numerosi sono i titoli conseguiti grazie al suo hobby preferito, ossia l’aeromodellismo da competizione, in particolare si ricorda la vittoria del Campionato del Mondo nella categoria FIB, modelli ad elastico nel 1963. Nella stessa competizione conquistò il terzo posto sfiorando la coppa Wakefield il più prestigioso trofeo dell’aeromodellismo mondiale, che risale al 1930.