La vita di Carlo Guerini
Protagonisti | |
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Memoria. Storie quotidiane: la vita di Carlo Guerini | |
Autrice | |
Laura Bajardelli | |
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Storia di una persona pacata ma intraprendente e di una famiglia come tante altre che, lontano dalle luci della ribalta, ha fatto grandi cose per l'Italia di oggi.
In punta di piedi, con voce pacata come per non disturbare il perfetto silenzio, Carlo Guerini inizia a raccontare. Ha preparato degli appunti, tante sono le cose da raccontare e l’emozione potrebbe giocare brutti scherzi quando si va indietro nel tempo. E poi al suo fianco c’è Cristina che ha ascoltato tante volte le storie del papà Carlo, ma questa volta si è armata di carta, penna, registratore e anche di qualche fazzoletto, perché quando si parla di cose serie, di cose di famiglia, è sempre prudente averne un paio. Attenzione a non farsi ingannare: si piange anche dal ridere. E soprattutto l’orologio ce lo dimentichiamo tutti. Carlo è nato da Mamma Maria Lupi e Papà Luigi Guerini nel 1939, il 5 maggio per la precisione. E ama citare l’incipit della poesia dedicata da Alessandro Manzoni a Napoleone, personaggio grandioso e celebrato tutt’oggi. I primi anni sono trascorsi sereni nella dependance di una importante famiglia pavese, il papà giardiniere e autista con la divisa ma senza patente, la mamma governante. Dopo la scuola elementare, ha studiato meccanica, lavorazione del ferro e del legno alla scuola di avviamento professionale, mentre all’oratorio, oltre alla passione per il calcio, ha sviluppato la conoscenza della musica e di strumenti come il flicorno, il clarinetto. Ma a quell’epoca si diventava grandi in fretta, e così a 15 anni Carlo inizia a lavorare, è piccolo ma ha già la sua personalità:
Facendo freddo, portavo il cappello, si chiamava bordino: quando entravo nel magazzino, toglievo il cappello per educazione, mi avevano insegnato così. Consegnavo l’utensile rotto e me ne restituivano uno nuovo. Probabilmente qualcuno mi osservava… “perché hai tolto il cappello?” “perché l'educazione dice di togliere il cappello” … insomma mi hanno fatto un “rifilet” gli operai anziani…
Ma suo papà gli dà la chance di cercare un lavoro che gli piaccia di più. E così inizia a fare il falegname in un piccolo laboratorio. D’altronde, gli piacevano il legno e anche la Luisa, figlia di un componente del Corpo Bandistico di S. Cecilia dell’Oratorio. L’ultimo arrivato doveva fare un po' di tutto e lui non si tirava indietro però… però trainare un carretto gli pesava se intorno c’erano gli amici che studiavano. Arrossiva, ma non demordeva. E intanto imparava. E anche se la Luisa aveva cambiato orizzonti, lui rimase li perché aveva ancora da imparare. A diciott’anni è pronto per fare il salto alla Fabbrica Poggi, una realtà artigianale in evoluzione considerata l’università del legno, che collaborava con architetti già affermati a livello nazionale. Oggi si chiamano designer. Designer che si trovano nei libri di storia del design. Franco Albini e Vico Magistretti per intenderci. Ad affiancare Albini c’era anche un giovane di belle speranze: Renzo Piano.
Il manufatto che ricordo e che porto nel cuore è la poltroncina Luisa che ha vinto il Compasso d’oro nel 1955 ed è entrata a far parte di importanti collezioni, esposta al MoMA di New York e al Museo della Triennale di Milano.
All’architettura e al design ha iniziato ad appassionarsi grazie a Ezio Poggi, uno dei titolari, che gli prestava i libri, e, sempre grazie a un fortunato incontro, a soli 22 anni Carlo si è deciso per il grande passo: mettersi in proprio, anzi in società con Ugo, un amico più grande conosciuto all’oratorio. Come era immaginabile conoscendo Carlo, nella ditta il nome dell’amico vien prima per rispetto alle persone più grandi. E così inizia l’avventura della Castoldi e Guerini. Artigiani del legno, rispettivamente 34 e 22 anni. Se entriamo nei dettagli di come è partita quest’avventura, sembra di entrare in un racconto pedagogico. Ma invece è realtà, una storia di lealtà e correttezza:
Per il laboratorio di falegnameria dell’orfanatrofio era necessario un falegname che insegnasse il lavoro. L’Oratorio era una comunità, una famiglia che si aiutava, e la voce era iniziata a circolare, un amico lo ha proposto a me e un altro a Ugo Castoldi. Un pasticcio? No, perché io volevo rinunciare perché dovevo fare il militare. E no perché la moglie del Castoldi ha risolto in altro modo: ha parlato con mio papà e gli ha proposto che unissimo le forze. Il caso ha voluto, che il militare non l’ho fatto, alla visita sono stato RAM, rivedibile. Qualche problemino al cuore. E la mia vita è cambiata. Ho smesso di giocare a calcio, ero bravino, ma dopo un mese di ricovero ho pensato fosse meglio concentrarmi sul futuro che offriva più certezza. Folgore, Stradellina, Frigirola, Pavia Calcio. Conservo ancora l’album di fotografie. Ho accettato la proposta e siamo partiti insieme nel 1961.
Però non ha abbandonato la musica e fino a trent’anni ha suonato il clarinetto nella banda. E Carlo si distingue anche qui, applicando un approccio imprenditoriale, facendo leva sulle relazioni che stava sviluppando per lavoro. Ci stiamo dimenticando qualcosa? Sì, nel 1967, a 28 anni, Carlo è convolato a nozze con Carla che era nativa dello storico quartiere pavese Borgo Basso
Una borghigiana doc: la stava in Bùrg a bàs, dove quando veniva su l’acqua erano i primi ad andar sotto…. no e non è battuta. Loro per venire in centro al sabato sera quando si andava a ballare mettevano gli stivali fino al ponte, nella borsa le scarpette, e quando arrivavano al ponte toglievano gli stivali. L’avevo conosciuta durante una gita, e le ho chiesto di uscire qualche volta, erano lei e la Gina la sua amica. Una volta a Belgioioso ci siamo rivisti a ballare e le ho chiesto di uscire a Pavia e ha detto sì…
E due anni dopo è arrivata Cristina, e poi nel ’73 Stefano. Il lavoro procedeva bene, anche grazie alle innovazioni che Carlo ha introdotto sia nella scelta dei materiali e nella costruzione sia nel servizio ai clienti e così, già dopo il primo anno, hanno iniziato ad assumere i primi collaboratori operai e poi un asso nella manica: Paolo Diegoli, un giovane professore diplomato a Brera, appassionato di arredamento. Grazie a lui riuscivano a caratterizzare le richieste dei clienti, andando oltre il design tradizionale. Con il passa-parola è stato un attimo. Il primo arredo importante è stato fatto nel 1964 per una grande casa di villeggiatura a Courmayeur e non si sono più fermati, arredando le case di città delle persone più in vista di Pavia. Ricorda Carlo le parole di Pucin, un cliente poi divenuto grande amico:
Carlo però che bella la scala eh tutta in noce, bellissima! Per non parlare poi di una libreria su misura per una mansarda: Un architetto ci aveva portato come campione un’anta antica, in stile piemontese che noi dovevamo realizzare per la mansarda della stessa casa. Ed effettivamente l'abbiamo fatta, con i fianchi rivestiti in tessuto, i ripiani laccati bianchi e le ante davanti esattamente uguali al campione. Già, l’idea vincente era stata di rivolgerci a chi faceva i cofani mortuari perché loro avevano in pantografi copiativi. E quanto lavoro poi di fino, fatto a mano per anticarla, martello, punteruolo, chiodi. Difficile distinguerla dall’originale.
Inevitabilmente, la sede originaria non è più sufficiente, e nel 1970 si trasferiscono in un altro spazio che Carlo decide di dotare di spogliatoio, docce e mensa. Lo aveva desiderato per sé da lavoratore e ora come imprenditore può realizzarlo per i suoi dipendenti. E queste idee Carlo le porta nel 1976 anche nell’associazione di categoria degli artigiani del settore legno, di cui diventa responsabile: non è certo un personaggio comodo per le sue prese di posizione sul ruolo dell'associazione. La sua visione è permeata dallo stesso spirito di servizio che lo porta ad impegnarsi anche nella società civile con l’associazionismo cattolico.
Di anno in anno l’azienda cresce, cambiano i soci, con Stefano Sora che sostituisce Castoldi che è andato in pensione, cambia la società che diventa TECMO S.r.l, ottengono importanti commesse in Italia ed esportano con successo anche all’estero. Successo che possiamo misurare in metri quadri:
Nel 1981-82 costruiamo a Torre d'Isola il primo capannone di 3.000 m², successivamente nell'84- 85 il secondo sempre di 3.000 m², vicino all’uscita del casello di Bereguardo sull'autostrada– Milano- Genova perché esportavamo in Francia, Gran Bretagna, USA, Giappone e Australia. Era un via vai di Tir. Che ci hanno portato nel 1996 all’ulteriore passo: TECMO diventa SpA. Una cavalcata che termina nel 2002, quando Carlo decide che è giunto il momento di cessare l’attività lavorativa: È stata una bellissima vita lavorativa che mi ha dato tanto e che mi ha fatto capire cosa vuol dire vivere non con l’egoismo del denaro. Certo il denaro serve ma non è tutto. Avevo tante conoscenze, mi divertivo, andando a cavallo o praticando lo sci d'acqua sul Ticino, andavo anche alle feste ma poi ho avuto una sorta di folgorazione. Grazie a un giovane collaboratore, che poi è diventato un amico fraterno, voglio ricordare il suo nome, Giò, anche se sono tanti anni che non c’è più. Ho scoperto la fede e l’importanza della comunità e della vera amicizia.
Carlo si sente pronto per un nuovo capitolo: l’impegno politico per la sua città con Forza Italia. Alle elezioni di quartiere del 2004 è stato il più votato a Pavia, e dal 2009 al 2014 ha ricoperto la carica di consigliere comunale. Contestualmente, mette a frutto la lunga esperienza di gestione d’azienda entrando, su nomina della Regione Lombardia, nel consiglio di amministrazione dell’Azienda di Servizi alla Persona. E questo impegno prosegue tutt’ora nel Consiglio di indirizzo, così come non è mai cessato il volontariato nella casa di riposo F. Pertusati, portando canti e allegria.
A coronamento del suo impegno professionale e civile, nel 1983 Carlo è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica dal Presidente Sandro Pertini, nel 1985 ha ottenuto il Sigillo d’Oro dalla Camera di Commercio di Pavia per “avere donato con viva capacità personale impulso all’attività economica e sociale della Provincia”. Prima di salutarci, Carlo mostra un oggetto che lo ha ispirato profondamente come lavoratore e poi come imprenditore: un quadro nel quale ha fatto incorniciare un brano tratto dal saggio “L’argent” (il denaro) dello scrittore francese Charles Pèguy. E con occhi lucidi e voce colma di emozione mentre con cuore e mente ha ripercorso la sua intensa vita, legge il testo:
Da Charles Pèguy – L’argent – 1914 Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita dal profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali. E sono solo io — io ormai così imbastardito — a farla adesso tanto lunga. Per loro, in loro non c’era neppure l’ombra di una riflessione. Il lavoro stava là. Si lavorava bene. Non si trattava di essere visti o di non essere visti. Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto.